“Consiglio a tutti i ragazzi che sono ancora negli Stati Uniti di tornare in Europa nelle prossime 48 ore o anche prima. Io ora sono a Los Angeles e prenderò un aereo oggi o al massimo domani. Onestamente, non so cosa possa succedere in queste circostante. E non so se possiamo giocare a Miami o altri tornei fino a che la pandemia da coronavirus non finirà“.
Era l’11 marzo il giorno in cui Novak Djokovic pronunciava queste parole. Gli organizzatori del Masters 1000 di Miami, almeno a parole, stavano ancora valutando se far disputare o rinviare il torneo. Ma in quelle stesse ore il presidente americano Donald Trump annunciava la chiusura dei voli tra gli Stati Uniti e l’Europa per almeno un mese. Erano (e sono ancora) ore molto confuse.
Queste parole di Nole sono state colte con sorpresa da molti giocatori nel circuito, intese come un’ingerenza nei confronti degli organizzatori. Il tweet più emblematico, in questo senso, porta la firma del giocatore giapponese Taro Daniel, che si chiedeva se si fosse perso qualcosa.
So Djokovic is leaving US before any tournaments post IW are cancelled or postponed. What info am I missing? pic.twitter.com/p4sy3i6KUE
— ダニエル太郎/Taro Daniel (@tarodaniel93) March 12, 2020
Di lì a poco sarebbe arrivato l’annuncio ufficiale della cancellazione del torneo e, poco dopo, la decisione dell’Atp di sospendere tutto per almeno sei settimane. A spiegare la presa di posizione di Djokovic è Taylor Fritz: “Novak se n’è andato prima perché aveva già deciso che in ogni caso non avrebbe giocato. E’ stata una sua decisione personale“.
Una decisione personale che ha influito sulla decisione generale? E’ questa la polemica? Se anche fosse, invece di polemizzare, il circuito dovrebbe ringraziare Nole in questo caso per la risolutezza. Forse, senza la sua mossa, staremmo ancora qui a discutere.