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Il lato triste del tennis? Ne hanno parlato Nick Kyrgios e Stefanos Tsitsipas
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Il tennis è uno sport che ci ha fatto appassionare con le sue sfide leggendarie, con i suoi colpi magici. Ci fermiamo poco però a pensare a quanto sia uno sport dove la solitudine la fa da padrone. Andiamo a scoprire il lato triste del tennis dalle parole dei suoi protagonisti.

Il bestseller che ha smontato certezze

Uno dei primi giocatori a manifestare l’odio/amore per il proprio sport è stato senz’altro Andre Agassi nella sua autobiografia, Open.

Il tennis è lo sport in cui parli da solo, nessun atleta parla da solo come i tennisti”.

La solitudine non solo in campo, ma in una stanza d’albergo. I viaggi in ogni punto diverso del mondo, un continente a settimana da poter esplorare. Non possiamo però fermarci all’idea dei tennisti che fanno una vita da turisti.

Ne hanno parlato Tsitsipas, Kyrgios, Cuevas e la psicologa dello sport, Sophie Huguet.

La solitudine dietro un sorriso

È uno dei migliori giocatori del circuito. Sempre solare e ormai stabilmente ai vertici del tennis mondiale. Stefanos Tsitsipas ha però rivelato che si porta dentro inquietudini da non sottovalutare.

Il tennis è uno sport in cui sei solo, abbiamo un team che ci accompagna in giro per il mondo, ma mentirei se dicessi che passo parecchie notti senza riuscire a dormire e sono solo. I viaggi e le competizioni portano con sé un forte stress, molte volte mi sono isolato”.

Kyrgios e la famiglia ritrovata

Uno dei giocatori che ha più beneficiato della pausa forzata dovuta alla pandemia è stato senz’altro Nick Kyrgios. L’australiano ne ha approfittato per tornare a trascorrere diversi mesi con la sua famiglia, vera ancora di salvezza del ragazzo.

All’inizio della mia carriera mi sentivo perso e mi sembrava di non poter parlare con nessuno di come mi sentissi e cosa mi succedesse intorno o di cosa stessi pensando. Non facevo altro che viaggiare, mi sembrava di non aver una casa. Ho viaggiato tanto, era difficile star in contatto con la famiglia, mi sembra di aver ricominciato il nostro rapporto dopo la pandemia”.

La vittoria è inutile senza condivisione

Fa molto riflettere la dichiarazione di Cuevas dopo la vittoria al Challenger di Baranquilla. L’unico sentimento dopo un trofeo dovrebbe essere la gioia, ma non sempre è così vista la solitudine nella camera d’albergo, nessuno con cui festeggiare:

Per i giocatori di bassa classifica questo è normale, non hanno la possibilità di viaggiare con il loro staff che solitamente non è composto comunque da molti elementi. I giocatori più alti in classifica potrebbero trovarsi destabilizzati, abituati ad una routine con la loro squadra hanno faticato di più quando alla ripresa del circuito non avevano tutti con sé. Sarà importante crearsi dei punti fermi per occupare i momenti di vuoto, libri, film, videogiochi, sarà importante gettare le basi per la solidità mentale”.

Il punto di vista dell’esperta

La psicologa Sophie Huguet, che ha seguito in carriera molti tennisti professionisti, offre un punto di vista medico all’intera situazione nel nostro amato sport.

Ho lavorato con tennisti per i quali era difficile vivere lontano da casa, non tutti amano viaggiare ed esser lontani dai propri cari e punti di riferimento. Questo continuo muoversi può esser vissuto come un calvario, anche perché non tutti viaggiano con jet privati o prima classe, spesso sono costretti a viaggiare in condizioni difficili. Questa vita di solitudine può creare grosse difficoltà emotive.

Quando sei di nuovo a casa per tanto tempo, apprezzi l’aspetto positivo della familiarità e ti chiedi se valga la pena ricominciare a fare quello che facevi prima. Per alcuni giocatori più anziani, che magari meditavano il ritiro, la decisione ora potrebbe esser di anticiparlo, di contro qualcuno più giovane potrebbe pensare che non abbia senso tutta la fatica che sta facendo per scalare la classifica.

Sarà importante esternare i sentimenti, non aver paura di chiedere sostegno e cercare di rompere la solitudine contattando i propri affetti. Si deve cercare di verbalizzare, non chiudersi in sé stessi, per un tennista sarebbe gravissimo. Non c’è solo negatività in questa situazione, imparare a stare da soli fuori dal campo potrebbe tornargli utile quando sono in campo. Essere soli è un processo di apprendimento, alcuni sono stati destabilizzati e altri invece hanno colto l’occasione per prendersi cura di sé stessi. Ci sono persone che hanno bisogno di una vita sociale, rifiutano la solitudine, altri invece la usano come fonte di rinnovamento”.

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