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In due anni è cambiato il mondo. E Nick Kyrgios a Washington si riscopre svuotato
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4 agosto 2019, esattamente due anni fa. Un’ora e trentaquattro minuti, il tempo impiegato da Nick Kyrgios per battere Daniil Medvedev nella finale del prestigioso torneo di Washinghton. Un doppio tie-break consegnò all’australiano quello che, al momento, resta l’ultimo titolo messo in bacheca. Sul suo percorso, gli scalpi di Kwiatkowski, Simon, Nishioka, Gombos, Tsitsipas e, appunto, del russo.

Di lì in poi solo trentatré match giocati (singolare), poche vittorie, molte polemiche e altrettanti dubbi sul futuro. Stanotte una sconfitta (4-6; 4-6) dal significato (negativamente) simbolico contro Mackenzie McDonald, giocatore fuori dalla top-100.

Un inesorabile sprofondare nell’abisso.

LA CRISI DI KYRGIOS

Tutti consociamo le particolarità del carattere di Kyrgios. Nick si ama e si odia contemporaneamente, incondizionatamente e senza pregiudizi. E poco importa con chi litiga sui social, con chi si fidanza o come impiega il tempo libero. Fin quando sarà capace di deliziarci sul rettangolo di gioco, tutto il resto passerà in secondo piano. Ci ha fatto divertire, arrabbiare, ci ha lasciati perplessi. Ma le vere emozioni le ha provate lui e le abbiamo provate anche noi. Ecco…

Spesso si dice che Nick non cambierà mai, ma a noi onestamente tante cose sembrano già cambiate. Perché a prescindere da ciò che è successo (e continua a succedere) fuori dal campo, Kyrgios è pur sempre uno dei giocatori più talentuosi del circuito. Cosa che, in questi due anni, ha dato modo di farci dimenticare. E ora?

E ora c’è un problema, perché l’australiano appare svuotato, lontano dalla competitività, demotivato. Quello visto stanotte con McDonald non può essere veramente colui che ha squarciato la scena del tennis mondiale qualche anno fa. Non è un nostro giudizio. Lo stesso diretto interessato, nel post gara, ha voluto sottolineare le sue difficoltà:

“Sono un tipo competitivo, non voglio mai perdere. Ma mi sento come se non ce l’avessi, è strano. Quando sono in campo, non so… non sento… è come se non sentissi l’importanza dei break-point, non sento la pressione come una volta. Non lo so. È come se non provassi più le emozioni che prima provavo in campo”.

Dunque, il problema va ben oltre la sconfitta contro lo statunitense numero 107 del ranking Atp, il vero guaio è che dietro queste parole di Nick potrebbero celarsi tante cose. Abbiamo recentemente parlato delle situazioni di Dominic Thiem e Naomi Osaka. Questo, seppure con sfaccettature diverse, sembrerebbe essere un caso simile. Forse più grave.

UN’IPOTESI DA SCACCIARE VIA

“Alla fine, so che non posso essere troppo duro con me stesso. Non ho giocato molte partite e non ho intenzione di dire cazzate, ho giocato abbastanza nella media. Il mio corpo è piuttosto mediocre”, la chiosa finale a margine della debacle.

A 26 anni, in quello che dovrebbe essere il pieno della sua maturità sportiva, Nick è alle prese con una crisi psicologica che sta avendo devastanti ripercussioni sul suo rendimento in campo (quando ci va). Una situazione che desta parecchia preoccupazione.

Il futuro, attualmente, è incerto per l’australiano. Aleggia addirittura l’ombra del ritiro anticipato. Un’ipotesi da scacciare via, in fretta. Magari con una magia. Foza Nick The Quick!

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