Che pena il tifo al Roland Garros, il Philippe-Chatrier trasformato in una sagra paesana
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C’è stato un tempo nel quale al Roland Garros uomini in blazer blu e damigelle in leggeri vestiti bianchi sorseggiavano champagne ammirando René Lacoste, Jean Borotra e gli altri “moschettieri” francesi. Non pretendiamo tanto. I tempi sono cambiati. E per fortuna tennis e popolo si sono incrociati: una cosa bellissima da cui non si tornerà indietro

E però il tennis è il tennis. Uno sport che ha un di più di educazione. Di stile. Scrostata da tempo la patina del tradizionale snobismo il tennis di massa non può rinunciare a quel senso di sportività, di rispetto, persino di gentilezza, che lo eleva al di sopra di altri sport.

Quello che stiamo vedendo in questi giorni  sugli spalti di Parigi sembra una sagra paesana quando ci sono le corse nei sacchi. Urla, cori, fischi. Applausi quando l’avversario, cioè un non francese, sbaglia la prima. Boati per deconcentrarlo mentre serve. Il mitico Philippe-Chatrier non può essere la curva sud dell’Olimpico che per sua natura ha un’altra fisionomia.

Il tifo a tennis è una cosa bellissima, fa parte del gioco. Il tifo, non questa roba che stiamo vedendo. Ora che Sinner ha distrutto Moutet e che i francesi sono tutti fuori speriamo che il Roland Garros torni a essere il Roland Garros. E che Jannik e gli altri possano servire in santa pace.

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