“I prossimi tre anni saranno decisivi per la mia crescita. Tutti si aspettano da me che vinca uno Slam, la cosa non mi disturba. Ma solo dopo aver fatto almeno 200 partite a livello Slam potrò dire davvero di sapere che tipo di tennista sono”. Jannik Sinner è pronto a rientrare (lo farà la prossima settimana sul cemento indoor di Marsiglia) dopo la brutta sconfitta al primo turno a Montpellier contro Aljaz Bedene e il problema alla schiena che l’ha costretto al forfait all’Atp 500 di Rotterdam.
Nel frattempo, ha rilasciato un’ampia intervista all’Equipe, il principale quotidiano sportivo francese, in cui ha parlato un po’ di tutto, dal tennis alla vita privata, raccontando un pezzo in più della sua personalità. “Ho solo 19 anni e la strada per arrivare in alto è lunga, lo so benissimo. Ma state tranquilli che la pressione più grande è quella che metto io su me stesso. Attraverso le sconfitte si impara, anche quelle più dolorose, come quella a Melbourne contro Shapovalov. Ma ho cominciato a giocare a 18 anni e vorrei arrivare fino a 38!”.
Intanto, la parola d’ordine è fare esperienze. Come quella che l’ha portato ad allenarsi per dieci giorni ad Adelaide insieme a Rafael Nadal: “Credo che sia stata la cosa migliore che mi potesse capitare a 19 anni, un’esperienza di vita e di sport che non dimenticherò mai. Credo di essere fortunato a giocare nell’epoca di Roger, Rafa e Novak, i più grandi di sempre, perché questo mi darà la possibilità di giocare contro di loro, ma soprattutto di imparare da loro”.
Una vita sportiva, quella di Sinner, che, come noto, è cominciata prima con gli sci ai piedi che con la racchetta. Da bambino era una giovane promessa, “ma a 13 anni ho cominciato a perdere le gare perché non ero abbastanza forte fisicamente”. Nel frattempo, è arrivato l’avvicinamento al tennis, “uno sport che considero più un gioco. Lo sci è diverso, lo amo e mi è servito per avere equilibrio e movimenti, ma la discesa dura un minuto e mezzo, se sbagli sei fuori. Il tennis ti dà la possibilità di sbagliare, di recuperare, di cambiare tattica, strategia…“.
E infine un accenno alle sue origini: “La vita in Sud Tirolo è diversa dal resto del Paese, ma io sono italiano e mi sento italiano al cento per cento. Anche se da piccolo mi chiedevano se fossi irlandese per i miei capelli rossi e se la mia prima lingua è il tedesco. A 13 anni, quando mi sono trasferito a Bordighera all’accademia di Riccardo Piatti, capivo e parlavo davvero poco in italiano, oggi sono molto migliorato, ma so che il mio italiano non è ancora perfetto”.
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