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Berrettini introspettivo e riflessivo si racconta: “Il tennis come modo di vedere la vita”. Conversazione con Walter Veltroni
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Leggere le parole di Matteo Berrettini sul Corriere della Sera, intervistato da Walter Veltroni, non è cosa di tutti i giorni. Conosciamo personalmente l’ex leader del Partito democratico, ormai lontano dalla politica e concentrato su giornalismo, scrittura e regia cinematografica. Ne abbiamo sempre apprezzato lo spessore ed è chiaro che un’intervista confezionata da lui avrebbe tirato un Berrettini diverso dal semplice racconto dei suoi match. Veltroni, chiacchierando con il talento romano, riesce a tirarne fuori un caleidoscopio di emozioni, dalle paure alle gioie, passando per curiosità e obiettivi. Riesce a far emergere un Matteo introspettivo e riflessivo, che parla anche di tennis come filosofia, come modo di vedere la vita: “Il tennis è uno specchio impietoso – sottolinea ad esempio in un passaggio – ti guarda dentro. E ho capito una cosa fondamentale: per eccellere, in questo sport, devi in primo luogo riconoscerti”.

Si parte con Berrettini bambino, perché Veltroni è sempre stato sensibile al mondo visto dai bambini, tanto da farne un lungometraggio nel 2015 (“I bambini sanno”). Matteo negli anni, a differenza del fratello Jacopo (più concentrato su formazioni calcistiche), giocava spesso con i Lego. “Nel mondo di quei mattoncini – spiega – mi isolavo, mi sembrava di stare in una bolla tutta mia. Mi piaceva quel disordine, che solo la pazienza e l’intelligenza di qualsiasi bambino in qualsiasi parte del mondo poteva trasformare in una forma compiuta. Il frammento diventava l’intero, grazie al cervello”.

Poi si passa a un Berrettini ragazzo, che amava gli sport di squadra ma che presto si rende conto che era uno a cui piaceva prendersi responsabilità: “Volevo essere ragione del destino di una gara, caricarmi sulle spalle interamente il peso di una vittoria o di una sconfitta. Questo mi serviva soprattutto a conoscere me stesso. Io sul campo da tennis non ho segreti, conosco e riconosco ogni singola emozione, ogni gesto, ogni fragilità e ogni potenza. Nel tennis, nella solitudine di quello sport che pure è sotto gli occhi di tutti, mi sento come un entomologo di me stesso. Ogni gesto è pensato, vissuto e sofferto. Perché da ogni gesto dipende l’esito di ciò che fai. E tanto più è alto lo stress quanto più riesci a comprenderti”.

Interessante anche il passaggio sulla gestione della sconfitta, dove cita Nelson Mandela: “Il tennis ti insegna a perdere. Anche i migliori, anche nelle migliori stagioni, devono bere il calice della sconfitta. Io odio perdere, ma ho sempre usato la sconfitta per migliorarmi. Come diceva Nelson Mandela ‘Io non perdo mai, o vinco o imparo'”.

“Forse telefonando nel passato – dice poi quando Veltroni gli chiede di immaginare di poter telefonare a se stesso bambino e di darsi un consiglio – mi direi di rendermi più conto e di godermi maggiormente i momenti in cui sono stato – per me bambino sarò – più felice. Questo sport, ma questa stagione della nostra vita sociale, ti porta sempre a divorare tutto, anche il tempo, anche le emozioni”.

Il buio conosciuto: “Così ne sono uscito”

“Nell’ultimo anno – spiega – ho vissuto troppi strappi fisici e mentali: il mio corpo e la mia testa in alcuni momenti non erano allineati e chiedevo troppo all’uno o all’altro. Dal punto di vista clinico, ho avuto uno strappo dell’obliquo interno. Ho avuto un momento di buio psicologico? Sì, dovuto al fatto di non poter competere. La competizione mi rende vivo, anche quando sono esausto. Non poterlo fare mi ha fatto conoscere il buio e questo sembra non avere fine, sembra ti inghiotta: invece di stare fermo e rifiatare, ti scavi da solo un abisso. Sono stati momenti brutti, ma anche fondamentali per farmi ritrovare la gioia di ciò che ho iniziato da bambino e poi ho sempre fatto nella mia vita. Il buio mi ha dato spazio per ripensare alle origini e ritrovarmi. Ne sono uscito recuperando la purezza, l’allegria e l’incanto di una scelta che da ragazzo ho fatto pensando  solo al fatto che era questo ciò che volevo per sentirmi bene. La mia vita era diventata una sequenza di ‘devo’: dovevo giocare certi tornei, vincere ed essere in un certo modo. So che il dovere esiste, ma è necessario che si coniughi con il piacere e la gioia di fare ciò che hai scelto”.

Quando pensa di dire basta: “Ma senza tennis non sono felice”

C’è stato momento in cui Berrettini ha anche pensato di mollare: “Se ho avuto voglia di dire basta? Tante volte. Nel 2020 ho avuto un’annata complicata e ho fatto il pensiero, che mi aiutava a dormire, di prendere il passaporto e, senza dire nulla, fuggire dove nessuno avrebbe potuto trovarmi. Mi chiedevo perché dovessi subire tutta questa pressione e affrontare il senso di colpa a causa del mio corpo ferito. Poi, con il tempo e il confronto con gli altri, ho capito che io sono felice solo se scendo in campo e respiro quell’atmosfera. Se non lo faccio, sono infelice: è una magnifica condanna che mi sono scelto e che ancora oggi mi regala una gioia immensa. Sto cercando di imparare ad essere felice nonostante la sconfitta: credo che la felicità sia la somma di tante piccole cose. La motivazione e la felicità di un tennista credo sia la voglia di superare sé stessi e conservare l’incanto di quando si era bambini”.

Le critiche sui social: “Il mio umore non deve dipendere da quei commenti”

Berrettini si è trovato, ancora una volta, a dover affrontare pesanti critiche sui social network per gli scarsi risultati dell’ultimo anno e per la sua relazione con Melissa Satta. “In quei giorni – spiega – mi sono sentito spaesato, a disagio. Persone che prima mi tifavano ora sono diventati miei giudici o odiatori. Ho pagato il prezzo più alto: non trovare quella sensibilità. Il mio rapporto con i social è tipico di chi è della mia generazione. Non volevo cedere ai miei odiatori, ma non volevo neanche scappare. Poi ho capito che è come combattere con i mulini a vento. Ho rallentato, perché ho capito che il mio umore non poteva dipendere da commenti social, tanto legittimi quanto ingiusti. Si cerca un modo per prendersela con un me per un risultato che non è arrivato o qualcosa che non sta andando bene. Se fossi stato single, si sarebbero chiesti cosa avrei fatto, ma c’è lei e si imputa a lei. C’è sempre bisogno di un capo espiratorio, trovare qualcosa che sia la ragione per cui le cose non vanno. Ed è triste e grave, se si va sulla sfera personale. Noi abbiamo cercato di mandare il messaggio che non bisogna esagerare: c’è un limite, è una questione di educazione e non tutto è concesso”

Si parla poi di paura come “motore fondamentale per farcela”. Infine gli obiettivi: Wimbledon e Roma. E vivere il tennis per quello che è: gioia e sfida per migliorare se stessi.

 

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