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Dall’ombra dei big azzurri al Centrale di New York, Arnaldi si racconta: “Sentivo di potercela fare”
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Matteo Arnaldi fa parte di quella generazione di tennisti nati tra il 2000 e il 2004 che promette un futuro roseo al movimento maschile nostrano. Il ligure, già in costante crescita nel biennio 2021-2022, ha condotto finora una stagione coi fiocchi, che l’ha portato a raggiungere la top-50 del ranking mondiale. I suoi progressi sono sotto gli occhi di tutti, tanto che capitan Pippo Volandri ha deciso di convocarlo per gli impegni della nazionale italiana in Coppa Davis. Ma il 2023 per Matteo non rappresenta di certo un punto d’arrivo, bensì un punto di partenza. Di questo e tanto altro ancora il giovane azzurro ha parlato ai microfoni de Il Corriere della Sera. Vi proponiamo un interessante estratto dell’intervista.

Matteo Arnaldi racconta la sua ascesa

Matteo Arnaldi
Foto Instagram Arnaldi

“In due anni sono passato da n.900 a n.50, crescendo moltissimo. È arrivato tutto insieme, facendo gli step giusti, con i miei tempi, il mio team, lavorando bene. Ed eccomi qui”, ha detto Arnaldi ripercorrendo le tappe che lo hanno portato sui palcoscenici più prestigiosi del panorama internazionale, come ad esempio l’Arthur Ashe di New York. “Non vedevo l’ora di giocare un match come quello con Alcaraz all’Open Usa, sul centrale, contro uno dei più forti. Ho cercato di essere me stesso sin dai primi game”, ha raccontato l’azzurro, finalmente uscito dall’ombra dei vari Sinner, Musetti e Berrettini: “Ho sempre fatto la mia strada, non è che mi sia mai interessato tanto degli altri. Certo da numero 150 del mondo vedere che gli italiani scalano la classifica fa bene, nel senso che ti ispira, ti fa pensare: beh, allora posso farcela anche io”, ha spiegato.

E sulla recente esperienza alla fase a gironi di Coppa Davis, condita dal punto valido per la qualificazione alle Finals di Malaga, Matteo ha detto: “Una settimana indimenticabile, ho sentito il peso della maglia azzurra: io sono uno che parte sempre un po’ lento però in Davis mi sono piaciuto, ho dato il mio contributo, ho capito cosa significa scendere in campo per l’Italia”.

Viaggi ed esperienze nuove quelle che sta vivendo l’azzurro, che però se le gode con le stesse persone di sempre: “Alessandro Petrone, il mio coach, mio papà Fabrizio che ha nuotato a livello professionistico: è stato un atleta, l’esempio di come ci si allena seriamente ce l’avevo in casa. Mi è dispiaciuto un po’ non fare lo stesso sport, sarebbe stato divertente provare a superarlo però non ho rimpianti”. Zero rimpianti, ma il nuoto è comunque rimasto fonte di ispirazione: “Con papà seguivamo Michael Phelps alla tv, un tifo sfegatato, di lui sul divano abbiamo parlato tantissimo”.

Nel corso della chiacchierata con il noto quotidiano, Arnaldi si è soffermato anche sugli obiettivi raggiunti in questa stagione e sui propositi per quella che verrà. “L’idea era provare a entrare nei primi 100 e a settembre mi sono ritrovato nei migliori 50. Era un mio sogno personale, che non avevo condiviso con nessuno: pensavamo che fosse una meta lontana. Ma io sentivo di potercela fare. Anche essere testa di serie all’Australian Open non sarebbe male. Ma non mi piace tanto parlare di quello che potrei ottenere. Preferisco i fatti”, ha sottolineato Matteo in chiusura.

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