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Sinner: la mia vita privata? Rimarrà tale. Io italiano al cento per cento
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Jannik Sinner, prima del trionfo all’Atp500 di Rotterdam, ha rilasciato una lunga ed interessante intervista al magazine di moda Vanity Fair. L’azzurro ha rivelato di trovarsi meglio a parlare di tennis e della sua vita pubblica piuttosto che sbandierare ai quattro venti gli sviluppi della sua vita privata. Andiamo a leggere insieme qualche spunto interessante.

Le parole di Jannik

Di seguito vi riportiamo gli estratti più interessanti della lunga intervista concessa dal nuovo numero 3 del mondo a Vanity Fair. Gli argomenti? Molto vari, leggere per credere!

Mi piace parlare di tennis e dello sport in generale, ma se si riferisce alla vita privata, è vero, voglio mantenerla tale. Voglio proteggere le persone che mi sono più vicine, tenendole fuori da tutto ciò. Lo vivo come un piccolo compito da svolgere, quasi un dovere: mi hanno aiutato, da giovane, ad acquisire sicurezza in me stesso e oggi in qualche modo voglio tutelarle. Potrei anche parlarne, ma le persone che mi sono vicine la pensano come me su questo tema perché sono molto simili a me: ci capiamo con uno sguardo, in un secondo.

[…] “Quello da battere” è una parola grossa. Sono il numero 3 al mondo. Per il momento. Certo è un buon risultato, ma adesso devo ancora lavorare, prepararmi a tutto, perché ormai gli avversari mi conoscono bene, anche le mie debolezze. Sono uno di quelli da battere, diciamo.

[…] È vero: alle volte possiamo davvero diventare un ostacolo per noi stessi, ma più spesso siamo gli unici a poterci dare una grande mano. Alla fine, un giocatore il controllo ce l’ha solo su di sé. Non possiamo controllare il vento, il sole, né tanto meno l’avversario quando gioca bene: sono variabili che puoi solo accettare. Per come sono fatto io, temo di più l’avversario.

[…] Voglio controllare solo le cose che mi impediscono di fare il mio lavoro. Evito quelle che non mi mettono nelle condizioni, il giorno dopo, di allenarmi serenamente, ma se ho voglia di andare allo zoo, per dire, ci vado. Sono un ragazzo normale, fuori dal campo. Mi piace giocare alla PlayStation. Andare a cena, una volta ogni tanto. Anche se il più delle volte preferisco stare a casa tranquillo, a Montecarlo.

[…] A due anni e mezzo ho iniziato a sciare perché vedevo lui sulle piste. Mio fratello è stato il mio primo migliore amico, è sempre stato sincero e diretto. Oggi non ci chiamiamo spesso, ma siamo legati in una maniera incredibile. Mi fa sempre i complimenti, anche quando perdo.

I miei migliori amici sono ancora quelli dei tempi della scuola, si contano sulle dita d’una mano. Sono pochi, ma veri, perché mi conoscono da quando ero ragazzino e non gli importa di cosa ho vinto o di quanto sono famoso. Mi parlano di cose normali, mi regalano la serenità. Lo apprezzo, più di tutto il resto. È molto facile tenerli stretti a me.

[…] Se mi sento italiano? Sempre e sono molto orgoglioso di esserlo: a 7 anni facevo i campionati di sci coi ragazzini italiani, a 14 in Liguria i miei compagni erano italiani. Noi parliamo il nostro dialetto tedesco, ma anche in Sicilia parlano un dialetto che nelle altre parti d’Italia non capiscono, no?”.

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